La Tua Seconda Cosa Preferita 48: battere Tetris, giacche antipioggia e Midwest Emo.
Se è vero che i robot ci ruberanno il lavoro allora è anche vero che La Tua Seconda Cosa Preferita sarà in pole position per essere sostituita, permettendomi finalmente di vivere una vita fatta di drink analcolici su spiagge tropicali.
Sopra, infatti, una mia illustrazione creata da un’AI come se fossi un’eroe della rivoluzione al mare, non fate caso alla scritta, ci stiamo lavorando.
Pensa che storia tornare a casa da mamma e papà e dire “ma lo sapete che oggi sono stato la prima persona del mondo a battere la versione ufficiale di Tetris?”.
Ecco, più o meno è così che mi immagino che sia andata la sera dopo che Willis Gibson, tredicenne dell’Oklahoma, è riuscito a sconfiggere Tetris, un videogioco che, per sua stessa natura, non finisce mai.
Ok, ma com’è possibile quindi? Contestualizziamo un attimo: Tetris è un videogioco uscito nel 1985, gli anni in cui i videogames erano prodotti per finire dentro un cabinato e spillare più monete possibile ai ragazzi che si accalcavano lì intorno.
In quest’ottica è facile immaginare come il gioco fosse stato progettato proprio per non avere una fine effettiva. Una tessera alla volta i cubetti continuavano a cadere sempre più veloce fino a riempire lo schermo ed eliminare il giocatore, o forse no?
Programmato senza immaginare che ci sarebbero stati dei giocatori che avrebbero portato il software al suo limite, Tetris, arrivato al livello 157, va in crash, interrompendo la partita e permettendo al giocatore di ottenere una sorta di vittoria (più morale che effettiva, insomma).
Vittoria enormemente sudata, visto che dal livello 30 i blocchi cadono più veloci del tempo di reazione del controller, motivo che ha portato i fan di Tetris ad inventarsi la tecnica dell’Hypertapping, ma quella è un’altra storia.
Succede a tutti: compri una giacca che ti promettono essere al 100% impermeabile (dite waterproof e vi do un pugno sul naso), si mette a piovere e, sorpresa, non è così impermeabile come dicevano.
Questa è anche la storia di Jen Jensen, che, dopo essere finita sotto un’acquazzone improvviso mentre era in vacanza in Nuova Zelanda si è anche accorta che la sua giacca, alla fine, molto impermeabile non era.
Cosa fare? Beh, quello che avrebbe fatto qualsiasi giovane: un TikTok in cui taggava The North Face chiedendo un’altra giacca che ovviamente avrebbe dovuto essere recapitata in cima alla montagna dove si trovava.
TNF vede il video e pensa «sai cosa, possiamo svoltare questo imprevisto». Recupera una giacca, prende un elicottero e realizza un video in cui la giacca richiesta viene recapitata alla (s)fortunata.
Niente, carino, un po’ community. Vi lascio qui il video originale e sopra quello di The North Face
MIDWEST EMO: quando penso alla parola Emo, l’unica cosa che mi viene in mente è solo e solamente “Emo Vs Truzzi” quel servizio di Gold TV che cercava di indagare sulla cultura, i valori (“quali sono i tuoi valori? Boh, la birra”) e l’estetica delle sottoculture più in voga della prima decade degli anni 2000.
La storia della musica emo, però, è tendenzialmente più radicata e strutturata di com’era arrivata in Italia.
Nata negli ‘80 come gemmazione di band Punk-Hardcore, l’Emo si propone come genere meno politico e più “emotivo”. Ancora sottocultura, l’Emo (tra l’altro, crasi tra emotional e hardcore, lo sapevate?) si diffonde prima in America e poi in tutto il mondo. Arrivato nel Midwest degli USA prende connotazioni particolari: melodie intricate, ritmi irregolari e un racconto dell’emotività più riflessivo e introspettivo. Cap'n Jazz, American Football e The Promise Ring canonizzano il genere, che si configura come un incontro tra l’emo classico e una sorta di indie rock.
Qui sotto, visto che ora posso allegarlo, un classico del Midwest Emo.