La Tua Seconda Cosa Preferita 52: Bello questo libro! Ci abbiamo messo solo 28 anni a finirlo.
È il 1934 quando un esploratore (tra l’altro mio lontano parente), durante una spedizione che a detta sua avrebbe dovuto portarlo verso un tesoro perduto si imbatte in un’antica caverna.
Immaginate la scena. Fuori: buio, lampi, pioggia torrenziale. All’interno: antiche pitture rupestri illuminate fiocamente dalla luce di una torcia.
Uomini primitivi stilizzati, animali disegnati sulla pietra: i disegni sono una capsula del tempo mandata direttamente dal passato. Non sono quelli che attirano lo sguardo dell’esploratore, però. è una scritta.
Una scritta? Impossibile. Eppure, in uno stentato italiano si distingue chiaramente una frase: La Tua Seconda Cosa Preferita, la newsletter su tutte le cose più incredibili che accadono nel mondo delle community…
Bello questo libro! Ci abbiamo messo solo 28 anni per finirlo. Ovvero: la storia (vera) di un club del libro di Venice, California.
Siamo nel 1995, al cinema danno I Soliti Sospetti e un bookclub californiano decide di imbarcarsi in una delle sfide letterarie più impegnative della storia: leggere Finnegans Wake di James Joyce.
Partiti leggendo due pagine alla settimana, il gruppo di lettura si sposta dopo poco al leggerne una sola. Ma perché?
Beh, perché Finnegans Wake è probabilmente il punto più alto del concetto di flusso di coscienza di Joyce. Costruito per essere volutamente incomprensibile, il libro mescola parole inventate, lingue diverse, personaggi semi-casuali e azioni poco chiare, costituendo di fatto, un romanzo che risulta quasi impossibile da leggere. (Lo sapete che a quasi 90 anni dalla pubblicazione facciamo ancora fatica a capire chi siano i protagonisti?)
La persona giusta per decifrare il libro? Joyce stesso ne traccia un profilo, individuando il lettore perfetto della sua opera in colui che “soffre di un'insonnia ideale", e aggiungendo “la richiesta che faccio al mio lettore è quella di dedicare tutta la sua vita a questo testo”.
E questo club del libro, la vita (o almeno una buona parte), al testo l’ha dedicata davvero, commentando, collegando passaggi, discutendo e parlando, per poco meno di trent’anni della stessa opera prima di portarla a conclusione.
So cosa state pensando: “eh ma cosa ci sarà di tanto complicato?”. Per voi miscredenti, lascio una citazione tratta da pagina 4 del libro. LA QUATTRO.
What clashes here of wills gen wonts, oystrygods gaggin fi shygods! Brékkek Kékkek Kékkek Kékkek! Kóax Kóax Kóax! Ualu Ualu Ualu! Quaouauh!
Ma quanto ca**o odio il mio capo?
Non negate, almeno una volta nella vita lo abbiamo pensato tutti (non ora, ti prego Alf non licenziarmi). Ok, lo sappiamo, avere antipatie per il proprio capo è perfettamente normale: ma vi siete mai chiesti perché?
Beh, probabilmente, il fatto di avere qualcuno che ti dice cosa fare e se le cose che fai sono giuste o sbagliate non piace a nessuno: ma se ci fosse qualcosa in più di questo? Se il tuo capo fosse oggettivamente troppo scemo per fare il suo lavoro (e quindi gestire anche quello dei sottoposti)?
Ecco, nel 1969, lo psicologo canadese Laurence Peter scrive un libro (satirico) chiamato the Peter Principle, in cui formula la teoria con lo stesso nome. Teoria che dice che:
«In una gerarchia, ogni dipendente tende a salire di grado fino al proprio livello di incompetenza»
Insomma, se sei bravo tipo 6, ti fermerai quando sarai diventato dirigente 6, diventando allo stesso tempo troppo scemo per fare il dirigente di grado più elevato e per guidare in modo corretto il tuo team.
E, per finire, La biblioteca di Harvard ha rimosso una rilegatura in pelle umana da un suo libro. Sul serio? Si.
Le community, lo sappiamo, vivono di linguaggio. Parole, termini e slang che si generano e rigenerano costantemente. Glossario propone una parola nuova a settimana, un modo per stare sul pezzo e non fare la figura dei boomeroni, bello no?
LOST MEDIA: cos’hanno in comune Il fantasma del castello di Tod Browning e un episodio di Sesame Street con una strega?
Sono tutti e due Lost Media, prodotti culturali che, semplicemente, sono diventati introvabili. Parliamo di Lost Media, infatti, quando un (sorpresa) media diventa irrecuperabile, non più fruibili in nessun modo in nessuna parte del mondo.
Parliamo spesso di Digital Footprint, quel concetto che vede il web come un contenitore da cui qualsiasi prodotto mediale, una volta caricato, può uscire.
Eppure, a volte, le cose semplicemente le perdiamo.
Un disastro, un black out, un furto. Le cause per cui un prodotto scompare possono essere molteplici: l’ultima copia de Il fantasma del castello scompare dopo l’incendio al magazzino della MGM, la puntata di Sesame Street con la Strega del Mago di Oz PUF, sparisce e così migliaia di altri prodotti, persi, scomparsi e mai più ritrovabili.
Ma quanto ci mise Joyce a scrivere Finnegans Wake?